L’Euro…

Euro

PERCHÉ L’EURO

CI PORTERÀ ALLA ROVINA

     Ci hanno fatto credere con l’euro avremmo risolto i nostri problemi (almeno di tipo economico), che sarebbe cominciata l’età del benessere, avremmo conosciuto sviluppo e occupazione, che saremmo diventati come i tedeschi, i francesi o i belgi, ma … ci hanno venduto la luna nel pozzo. Siamo, infatti, da anni nell’euro, ma siamo anche sull’orlo del fallimento. Qualcosa non quadra!

CON L’EURO NON C’È FUTURO

     È diventata una delle monete più forti del mondo, ma non c’è da esultare, rende difficile esportare, facilita l’importazione di prodotti cinesi ed affini, conveniente comprare tutto all’estero, la nostra agricoltura è in difficoltà perche subisce la concorrenza dei prodotti nordafricani, ma anche greci e spagnoli, che hanno costi sensibilmente inferiori rispetto a noi, mette in difficoltà il turismo (perché siamo diventati troppo cari), rende conveniente fare le vacanze all’estero (il 2014 è stato un anno record per l’aeroporto di Fiumicino). Senza una moneta nazionale non avremmo un futuro e finiremo in balia delle multinazionali, che non solo hanno comprato le nostre aziende migliori, le nostre tecnologie più avanzate, ma anche le società di servizi, le reti di distribuzione ecc.. Siamo ormai un paese assoggettato economicamente, solo apparentemente sovrano.

    Le chiacchiere sono una cosa, la dura realtà è questa: le industrie hanno in gran parte chiuso o delocalizzato (il che non cambia molto per gli operai italiani), disoccupazione ormai cifre allarmanti, siamo scesi oltre il 7° posto nel mondo per il turismo (mentre meno di 15 anni fa eravamo al primo posto) perché le vacanze da noi sono diventate troppo care, salari da fame per i giovani e nessun futuro davanti. Infatti i più valenti hanno ricominciato ad emigrare.

     Nel ’92 la svalutazione della lira ci fece uscire dalla recessione (dichiarazione di Draghi aprile 2009, Governatore della Banca d’Italia) in quanto favorì le esportazioni, oggi non possiamo più svalutare e perciò la crisi non finirà così presto.

     Con l’euro infatti, abbiamo perso tre importanti strumenti economici per rilanciare l’economia e favorire lo sviluppo:

     1 – Il signoraggio, con l’euro non puoi stampare moneta, non puoi fare come l’Inghilterra, gli Stati Uniti, il Giappone ecc. che hanno stampato tantissime banconote per uscire dalla crisi e ormai ne sono fuori, con l’euro dipendi completamente da Bruxelles. Quante volte nel passato i presidenti o le banche centrali sono riusciti a rimediare a una grave crisi economica semplicemente stampando moneta? D’accordo bisogna fare le cose in segreto, bisogna stare attenti a non superare certi limiti, se non si vuole scatenare l’iperinflazione, ma è una risorsa di cui nessuno stato può fare a meno.

     Oggi le banconote le compriamo dalla BCE pagando il loro valore reale, mentre ad essi costa solo la carta e l’inchiostro. Questo motivo da solo sarebbe già sufficiente per far arrestare come “criminali pericolosi”, chi ci ha portato nell’euro. Ma in Italia c’è ancora chi festeggia l’anniversario dell’introduzione dell’euro.

     1 – Abbiamo perso la leva monetaria. L’introduzione dell’euro ha ridimensionato moltissimo i compiti della Banca d’Italia (anche se non è diminuito il numero di funzionari). Ad esempio, la Banca d’Italia non dispone più della politica del cambio, né della politica monetaria (il tasso d’interesse è fissato dalla BCE) e la politica di bilancio è molto limitata dal patto di Stabilità. Le decisioni si prendono altrove, si restringono i margini di manovra e non sempre la Banca centrale europea adotta provvedimenti favorevoli per l’economia italiana. Ad esempio, nel determinare il tasso di sconto deve guardare a tutti paesi europei e non soltanto alla situazione italiana, perciò può decidere di alzarlo nonostante in Italia i prezzi siano stabili e l’economia ristagni.

     Nel 2008, ad esempio, a Bruxelles non hanno fatto niente per fermare la corsa dell’euro e la sua forte rivalutazione rispetto al dollaro (nei primi anni dell’introduzione dell’euro il cambio dollaro euro era a 0,80, poi è arrivato a superare 1,53 nel 2008), corsa che ha penalizzato molto le aziende che esportano la maggior parte della propria produzione. In effetti, l’Italia aderendo all’euro, ha delegato ad altri decisioni economiche vitali.

  1. D) – Non puoi svalutare. In altre parole non puoi fare come certi paesi, ad esempio il Giappone o la Turchia, che hanno svalutato la loro moneta per rilanciare le esportazioni e l’occupazione. Ormai le decisioni economiche importanti sono decisi altrove, per loro se solo una colonia.

     In effetti l’euro è stato lo strumento che hanno utilizzato la Germania e le banche per estendere il proprio dominio su tutta l’Europa. Alla Merkel è riuscito, quello che non è riuscito a Hitler comandare in Europa. E non c’è da illudersi, anche se si farà l’unione politica (ma ciò non succederà mai), noi non conteremo niente, saranno Germania, la Francia e i paesi più forti dell’Europa a prendere le decisioni importanti, noi siamo solo il fanalino di coda, una colonia da dominare e sfruttare.

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   Ecco la realtà

     IL TURISMO. L’illusione che l’adozione della moneta unica dovesse favorire un vero e proprio boom del turismo è durata poco. Secondo quest’idea non solo tedeschi e francesi, ma tutti gli europei che usavano la stessa moneta, avrebbero scelto di passare le vacanze in Italia, invogliati dalla mancanza del cambio. Non solo non c’è stato alcun boom, ma i turisti sono diminuiti. Nel 2004, uno dei primi anni dell’adozione della nuova moneta, le presenze tedesche in Italia si sono quasi dimezzate, circa un milione in meno. Il vero boom l’ha avuto la Croazia, favorita dal cambio favorevole e da prezzi sensibilmente più bassi.

     Potevamo vivere solo di turismo! Ma siamo scesi oltre Il 7° posto! Una cosa vergognosa per un paese che possiede il 65% delle opere d‘arte del mondo, 7.000 km di coste e montagne estese e belle come le alpi!

     L’Italia è diventata troppo cara e gli stranieri attualmente preferiscono altre mete e altri paesi, che possono offrire di più e a prezzi più bassi. Inoltre, secondo dati emersi dall’Enit agenzia nazionale di turismo (2007) si registra una presenza media più corta e i turisti stranieri spendono sempre meno (in altre parole, dato che l’Italia è cara, si limitano a comprare il minimo indispensabile).

     Gli americani una volta arrivavano numerosi nel nostro paese invogliati dal cambio favorevole, 1.500 dollari erano quasi 2.500.000 delle vecchie lire, per un po’ si sentivano ricchi, perché non erano stati mai milionari. Anche l’effetto psicologico, infatti, è importante. Oggi con 1500 dollari prendono poco più di 1.000 euro, appena sufficienti per passarci 3 giornate, limitandosi nelle spese.

     Di pari passo è aumentato sempre più il numero di turisti italiani che trascorrono le vacanze all’estero attirati da prezzi inferiori (dovuti soprattutto al cambio favorevole), tutti soldi che vengono meno al circuito interno. Allora si vedono alberghi vuoti e aeroporti pieni.

     L’INDUSTRIA.   L’euro, ossia un tasso di cambio così alto, sta mettendo in ginocchio il nostro sistema industriale. Gli imprenditori più svegli hanno capito che dovevano trasferire la produzione all’estero (qualcuno pietosamente ha inventato il termine delocalizzare per mascherare una situazione fallimentare), altre sono riusciti a sopravvivere soltanto spostandosi verso prodotti di qualità, un settore dove i cinesi avevano difficoltà a sfondare.

     Non hanno avuto problemi soltanto le industrie ad alto valore aggiunto, cioè quelle che potevano contare su una tecnologia d’avanguardia e tecnici altamente qualificati.

     Ma sono poche, solo una minoranza delle aziende italiane e senz’altro insufficienti a dare occupazione ha una popolazione di 60 milioni di abitanti. Inoltre, la domanda che è lecito porsi in questi casi è: fino a quando? I cinesi oggi sfornano ingegneri e tecnici più qualificati nei nostri, perciò primo o poi invaderanno anche questi settori.

     Terzo, i cinesi ogni anno migliorano la qualità dei loro prodotti. Ormai stanno lasciando ad altri paesi più poveri la produzione dei settori a basso valore aggiunto.

     Inoltre, dato che gli italiani hanno sempre meno soldi in tasca, per molti non si pone nemmeno il problema: o comprano il prodotto cinese o non comprano niente.

     Non è solo il nostro parere. Gli articoli sui giornali sulle difficoltà che incontrano i nostri produttori sui mercati esteri, a causa del supereuro, non si contano. Ne riportiamo qualcuno in fondo al capitolo.

     Stesso discorso per agricoltura e per il mercato ittico. È più conveniente importare che produrre da noi. Ci sono regioni intere in cui non si coltiva più niente, aeree incolte setacciate solo dai cinghiali che devastano anche i pochi campi coltivati.

     Tutti i paesi dell’Europa e non hanno l’euro a incominciare dal regno unito, dalla Svezia, alla Danimarca, all’Ungheria ecc., sono ormai usciti dalla crisi economica. Gli unici paesi rimasti in recessione sono quelli del sud Europa che hanno adottato l’euro, l’Italia, la Grecia, Cipro, il Portogallo e la Spagna. Non è vero che l’euro porta ricchezza.

L’EURO UN ESPERIMENTO

     Molti dimenticano una cosa: che l’euro è un esperimento in quanto è l’unica unione valutaria attualmente esistente al mondo. Se le unioni monetarie fossero state davvero una strategia economicamente vantaggiosa, credete che gli altri paesi se ne sarebbero state con le mani in mano? Non sarebbero spuntate come i funghi? Ad esempio, tutta l’aerea del sud America (ma anche il nord America) ne avrebbe costituita una.

     La Bulgaria il 9/4/2010 ha dichiarato ufficialmente che ritirerà la sua domanda di adesione all’euro. Ha scelto la strada dello sviluppo e della crescita economica a quella della stabilità dei prezzi. A che serve avere un’inflazione bassa se non aumenta il benessere della gente?

   Soprattutto si sono ignorate le indicazioni degli economisti classici che prevedevano 3 condizioni per costituire un’unione valutaria:

     1 – Una banca centrale che controlli la politica monetaria, ciò è stata fatto.

     2 – L’unione politica. Questa seconda condizione non è stata assolutamente realizzata, né lo sarà a breve scadenza di tempo, perciò l’adozione dell’euro è stata una forzatura delle leggi dell’economia. L’esperienza, purtroppo ci insegna che ogni volta che si è fatta una cosa del genere, si sono create le condizioni per un disastro economico (vedi il caso dell’Argentina nel 2002).

    3 – Economisti come Mundell e Blanchard (Mit di Boston), ritengono indispensabile una terza condizione: la mobilità del lavoro. Concludono che L’Europa non costituisce un’era valutaria ottimale perché la mobilità del lavoro è molto bassa e probabilmente lo resterà anche il futuro.

     In conclusione: ci vogliamo augurare che non succeda anche a noi, ma ci sono serie possibilità che l’esperimento dell’euro finisca con un disastro economico. Noi ribadiamo una sola cosa: non vogliamo essere le cavie di un esperimento, perché se va male sono sofferenze e dolori per tutti!

LE OBIEZIONI DEI SOSTENITORI DELL’EURO

     La par condicio ci impone di riportare anche le tesi degli economisti convinti che l’adesione all’euro sia stata una scelta giusta:

    – 1 Senza l’euro avremmo fatto la fine dell’Argentina.

     Risposta: È vero, se avessimo continuato ad aumentare il deficit dello Stato (che oggi assorbe ben il 18% del bilancio statale), per soddisfare le solite pratiche clientelari, lavori pubblici ecc. ecc. sarebbe stato effettivamente così. Ma se avessimo tenuto sotto controllo il deficit pubblico, in pratica avessimo fatto le stesse manovre economiche che abbiamo fatto per entrare nell’euro, però senza aderirvi, non ci sarebbe stato nessun problema.

     – 2 L’inflazione sarebbe stata galoppante.

    È vero l’euro ci ha dato maggiore stabilità, ma si poteva raggiungere lo stesso obiettivo senza inguaiarsi con l’euro. L’inflazione, lo diciamo per i profani, dipende principalmente dalla quantità di moneta in circolazione e dal deficit dello Stato. Se avessimo ridotto quest’ultimo solo dello 0,50% all’anno, ad esempio riportandolo 1 solo punto sotto il 100% del Pil (cosa non molto difficile fino al 2007, in quanto l’economia andava bene), avremo avuto una situazione di stabilità economica uguale, se non migliore, a quella attuale (oggi il deficit è arrivato al 118% del Pil). In altre parole, con una politica economica accorta si potevano ottenere gli stessi risultati di stabilità senza rovinarci con l’euro!

     – 3 Con l’euro gli interessi sul debito si sono ridotti sensibilmente. È il cavallo di battaglia di Tremonti: è vero è uno dei pochi grandi vantaggi della moneta unica, ma per questo abbiamo pagato un prezzo molto salato (costi di produzione alti ecc, non possiamo più stampare moneta, il tasso di sconto è deciso altrove ecc. ne abbiamo parlato sopra). E il gioco non valeva la candela. Però …

     – Meglio pagare interessi alti, ma avere l’economia in crescita, così da pagare i debiti, che avere interessi bassi, come oggi, ma non avere i soldi per ripianarli perché l’economia ristagna (non è solo il nostro caso, anche la Grecia sta nella stessa situazione). Tutti i grandi economisti a partire da Blanchard ci dicono che quando l’economia cresce è facile ridurre il debito pubblico.

    – Siamo andati avanti per decenni con un debito pubblico altissimo (nel 1994 siamo arrivati al 123,8% del PIL), pagando interessi fino al 12% annui sui BTP e non ci è successo niente, perché l’economia cresceva.

     – L’euro invece di spingerci a tenere sotto controllo il debito pubblico, in un certo senso è stato un “alibi” per i politici per allargare i cordoni della spesa. Oggi siamo infatti siamo al 126% mentre il deficit è al 5,6% del PIL. Non è stato certamente un comportamento virtuoso, che senza i richiami dell’Europa sarebbe sconfinato nel’allegra finanza.

     – 4 La crisi finanziaria attuale sarebbe stata insostenibile con la lira?

     È vero se avessimo fatto come l’Ungheria, la Romania o altri paesi dell’est che si sono indebitati in moneta estera (soprattutto in euro), sarebbe stato un vero e proprio disastro economico. Ma se avessimo continuato a finanziare il deficit statale (tenendolo allo stesso tempo sotto controllo) ricorrendo al mercato interno, non sarebbe successo assolutamente niente!

     La lira, però, svalutandosi ci avrebbe protetto abbastanza dalla concorrenza sleale di Cina e India e degli altri paesi emergenti, il turismo ne avrebbe beneficiato e meno italiani sarebbero andati a fare le vacanze all’estero. In parole povere il processo di delocalizzazione delle industrie nei paesi del terzo mondo, sarebbe stato molto più lento e limitato.

IL CASO DELL’ARGENTINA

     Molti citano il caso dell’Argentina nel 2002, ma pochi sanno cosa successe realmente allora e i motivi principali che causarono il disastro economico che provocò un’insurrezione popolare che costrinse il governo a cambiare politica economica. Ecco i fatti.

     In un sistema di cambi fissi le monete vengono generalmente fissate rispetto a un’altra valuta, quasi sempre al dollaro statunitense. Ha origine principalmente in questa misura (e nel grosso debito estero che il paese aveva con il FMI) la grave crisi dell’Argentina, che nel 1992 commise il grave errore di fissare il valore del proprio pesos uguale a quello del dollaro, cioè 1 pesos = 1 dollaro. Questa scelta infelice contribuì in modo decisivo a provocare una grave crisi economica interna, con il crollo della produzione industriale, dei consumi interni e delle esportazioni, che sfociò nella rivolta popolare del 2001.

     Nel febbraio 2002 il governo Duhalde sospese la parità pesos-dollaro e in pochi mesi il cambio con il dollaro raggiunge la quota di 4 a 1, cioè 1 dollaro = 4 pesos, una bella differenza. Per le persone a digiuno di economia significa che il prezzo della carne che esportava l’Argentina crollò da un giorno all’altro circa del 80%, se costava, ad esempio, 4 dollari il chilo, venne poi venduta a 1 dollaro il chilo, facendo volare le esportazioni. La stessa cosa successe per il turismo, con $ 500 si poteva passare una settimana nelle migliori località.

     La svalutazione della moneta fu una cura da cavallo e fece riprendere l’economia. Ciò sottolinea l’importanza del tasso di cambio (cosa che i nostri economisti non riescono a capire), basilare nel regolare le importazioni e le esportazioni, sia di merci che di capitali.

LA SUPER MONETA EURO

ci sta portando alla rovina economica

     La mania di grandezza, sia militare che economica, è stata sempre una delle cause principali per la rovina delle nazioni (basta studiare un po’ la storia). Volevamo una moneta forte come il marco tedesco, volevamo sostituire il dollaro come moneta di riferimento sui mercati mondiali è questo il vero motivo dell’adozione dell’euro ma la super moneta ci sta portando alla rovina economica!

     In passato siamo andati avanti sempre con una moneta debole. Quando l’economia era in affanno si svalutava e lo mettevamo a quel posto a tedeschi, francesi, americani ecc.. Nel ’92, ad esempio, abbiamo rilanciato la nostra economia svalutando la lira. È vero avevamo un tasso di inflazione più alto, ma le nostre industrie camminavano a pieno regime ed esportavamo in tutto il mondo, persino nei paesi poveri come il Brasile. Eravamo la settima potenza mondiale.

     Poi i nostri politici, i nostri economisti, usciti dall’università dove non di rado le cattedre sono assegnate con metodi clientelari, si sono montati la testa e hanno voluto strafare. Ma chi vuole fare il passo più lungo della gamba, finisce quasi sempre per rompersi la testa.

     Oggi abbiamo una moneta forte e l’economia debole. Non possiamo più svalutare e perciò le nostre industrie chiudono perché produrre da noi costa 10 volte più che altrove, i salari si sono abbassati fino a un livello di pura sopravvivenza.

     Non è molto difficile che facciamo la fine dell’Argentina, quando fu costretta ad uscire dal cambio fisso di parità tra pesos e dollaro.

PERCHÉ QUESTA UNIONE VALUTARIA

È STATO UN GROSSO ERRORE

     La Banca centrale europea si trova a dirigere l’economia di 18 paesi, ognuno con problemi diversi, ma soprattutto con tassi di crescita e livelli di inflazione del tutto diversi. È successo già qualche anno fa la Spagna avevo livelli di inflazione preoccupanti, mentre paesi come l’Italia e la Germania erano in piena crisi, che fare?

     Scelse salomonicamente di lasciare inalterato il tasso d’interesse, ma ogni volta si tratta di decisioni molto complesse, perché l’area dell’euro è formata da tante zone con tassi di sviluppo completamente diversi. In effettiva BCE si trova nella stessa situazione di colui che è costretto a mandare avanti una slitta trascinata da tanti cani, ognuno con caratteristiche diverse. Ci sono quelli che tirano e vorrebbero andare più veloci, quelli che faticano a stare dietro agli altri e quelli che rallentano perché non ce la fanno più. Tenerli insieme è davvero un grande problema.

     Ecco il parere di stimati economisti di livello mondiale:

     Il premio Nobel per l’economia Samuelson scrive: “Se un paese del gruppo ha un tasso di inflazione sistematicamente più elevato degli altri, i suoi prodotti diventeranno via via meno competitivi, riducendo le sue esportazioni reali nette. Sarà inevitabile prima o poi ridurre il valore della moneta di questo paese rispetto alle altre”. Ma questo non è possibile data la fissità dei cambi che caratterizza al suo interno l’area valutaria. E dato che l’Italia ha mostrato sempre una tendenza ad avere un tasso di crescita dei prezzi marcatamente più elevato rispetto alla media degli altri paesi europei, ecco che prima o poi si troverà nei guai (anzi c’è già nei guai).

     L’economista O. Blanchard del Mit di Boston scrive che l’Europa non costituisce un’aerea valutaria ottimale soprattutto per due motivi:

     1) I paesi europei hanno da sempre subito shock negativi molto diversi tra di loro. Si pensi, ad esempio, allo shock dovuto alla riunificazione tedesca, che per anni ha gravato pesantemente sui bilanci della Germania dell’ovest.

     2) La mobilità del lavoro è molto bassa e probabilmente lo resterà anche il futuro. All’interno dell’Europa i lavoratori si muovono molto meno, ostacolati da differenze linguistiche e culturali e dalla difficoltà di vedere riconosciuti i propri titoli di studio. C’è poi il problema non secondario dell’immigrazione dai paesi del terzo mondo, manodopera più a buon mercato e con meno esigenze e perciò preferita dai datori di lavoro a quella europea.

     Il rischio più grande, però, è un altro avverte Blanchard “Se in qualche momento in futuro, uno o più paesi di Eurolandia registreranno un forte calo della domanda e della produzione, non potranno usare né il tasso di interesse, né il tasso di cambio per aumentare l’attività economica”. Purtroppo questo timore si sta già realizzando: alcuni paesi come il Portogallo, ma anche l’Italia, stanno registrando una bassa produzione e un ampio disavanzo commerciale. “Senza l’opzione della svalutazione ottenere un deprezzamento reale potrebbe richiedere molti anni di elevata disoccupazione e pressioni al ribasso su salari e prezzi rispetto al resto dell’aerea dell’euro” Blanchard, 2009.

   Sulla Repubblica del 24/11/2004 c’era un articolo dal titolo:

“LA SUPER MONETA FRENA L’EXPORT”.

     All’interno riportava che mentre crollavano le esportazioni del 7,5%, le importazioni erano aumentate dell’11,4%. E si diceva testualmente “Il principale colpevole del calo del 7,1% delle esportazioni verso gli Stati Uniti è sicuramente il supereuro. Il cambio sfavorevole ha certamente convinto un mercato storicamente attento al tricolore italiano a ridurre le importazioni perché i prodotti italiani sono diventati in termini reali più cari del 30%. Mentre “il Made in China” con un salto verso l’alto pari al 20,8% faceva da padrone nel nostro paese”.

   “L’adesione alla moneta europea ha avuto l’effetto di favorire, o meglio di accelerare il processo di delocalizzazione delle nostre aziende all’estero. Produrre da noi, a detta di tutti, è diventato troppo caro e perciò per molti imprenditori l’unica via di sopravvivenza è quella di trasferire l’attività in uno dei paesi del terzo mondo, dove la manodopera è più a buon mercato e c’è un regime fiscale meno opprimente.“

     Sul giornale “IL SOLE 24 ORE” Giovanni Recordati presidente e A. d. del omonimo gruppo farmaceutico, lanciò l’allarme in un articolo risalente a maggio 2006: “Ormai i due terzi del nostro fatturato sono realizzati all’estero. I nostri conti sono in crescita, ma rischiamo di dover investire sempre più all’estero a causa delle difficoltà nel continuare a lavorare con profitto in Italia. Si prospetta un’accelerazione degli investimenti all’estero, con attenzione particolare verso i paesi caratterizzati da rapidi ritmi di crescita quale Russia e Turchia e verso i paesi dell’est europeo e questo potrà, quindi, riflettersi negativamente sull’attività di ricerca e sulla nostra presenza in Italia.”

     Il premio nobel per l’economia J. Heckman ha dichiarato nel 2006 al giornale “La Repubblica”:

     “In linea di massima l’euro è stata una cattiva idea. La moneta unica vincola l’Italia agli altri paesi europei che hanno una grande capacità di crescita. In più, finisce per eliminare un utile strumento di politica economica. Ha una sola buona caratteristica: favorisce la stabilità dei prezzi”.

     Il premio nobel per l’economia Joseph Stiglitz ha dichiarato in una recente intervista a un giornale (il Corriere della Sera, 10/4/10): “La Germania è la più grande beneficiaria dell’euro, perché gli altri paesi non possono più svalutare: è per questo che il surplus tedesco è cresciuto così in fretta negli ultimi anni”. Come dire i tedeschi non solo sono essi a comandare in Europa, ma hanno trovato il modo per fregare italiani, greci, portoghesi ecc.. Gli stupidi siamo noi che ci abbiamo abboccato.

     Non è vero, quindi, che gli economisti sono tutti favorevoli all’euro; quelli che la pensano diversamente, specialmente negli USA, sono tantissimi.

USCIRE DALL’EURO

     Molte persone, ma soprattutto molti politici di sinistra terrorizzano la gente asserendo che uscire dall’euro ora sarebbe un disastro (altri dicono addirittura che è impossibile) qual è la verità? Uscire dall’euro non è una cosa semplice, né un’operazione indolore. Vi prende in giro, o perlomeno pecca di ingenuità, chi sostiene che cambiare moneta sarebbe semplice come cambiare abito.

     Tornare alla lira sarebbe invece molto traumatico e doloroso, soprattutto perché almeno per due anni avremo l’inflazione molto superiore di quanto è adesso. Non solo, ma non tutti gli economisti sono in grado di fare nel modo migliore possibile la conversione.

     I risultati però sarebbero davvero positivi in quanto sarebbero 2 – 3 anni di forti sacrifici, ma poi ne usciremmo: l’economia tornerebbe a crescere, il debito pubblico a tornare a livelli accettabili e si potrebbe ridurre la tassazione in modo sopportabile. È un’operazione che vale la pena di fare, perché a nostro giudizio, esiste anche la concreta possibilità che l’unione monetaria finisca, perché alcuni stati tolgono la loro fiducia o semplicemente che saremo buttati fuori dall’euro perché ritenuti inaffidabili (sono anni che l’Europa ci chiede riforme strutturali, che non facciamo mai) o per via del nostro enorme debito pubblico, quando si renderanno conto che non siamo più in grado di restituire i soldi ricevuti.

     COME USCIRE. Le vie per uscire dall’euro sono principalmente due: una soft e una hard, improvvisa.

     La prima si adirerebbe “all’euro debole”, una vecchia idea tedesca dell’Europa a due velocità che se sollecitata potrebbe essere la via giusta per uscire da questo pantano. Noi consigliamo piuttosto che l’adozione di euro debole, quello di un “euro Italia”, perché in questo ultimo caso ci lasceremmo la porta libera per un eventuale ritorno alla moneta nazionale. In effetti l’euro debole dovrebbe attestarsi intorno al 16 – 18% di quello forte, in adozione in Germania per intenderci. Sarebbe come svalutare del 18% il che renderebbe competitivi moltissimi nostri prodotti industriali, ma soprattutto ci consentirebbe puntare molto sull’alimentare e sul turismo, due settori in cui siamo molto forti. Questa misura se unita a quella di aumentare la produttività, ad esempio abolendo tante feste, portando l’orario lavorativo a 42 ore la settimana, introducendo premi di produzione ecc., ci assicurerebbe un aumento del Pil di almeno il 4% all’anno per un triennio, se non di più.

     In effetti in Europa avremmo un gruppo di paesi, quelli che oggi non sono in crisi come la Germania, l’Olanda e la Finlandia, che continuano con l’euro forte, gli altri invece con degli euro nazionali agganciati a quello forte, una specie di SME però questa volta controllato dalla Banca centrale europea.

     La seconda maniera per uscire dall’euro è quella di un passaggio improvviso e traumatico alla moneta nazionale (il cambio più semplice sarebbe 1 euro = 1 Lira). Un governo guidato da brillanti economisti prevedrebbe varie fasi: 1) Una di preparazione, in cui si prendono tutti gli accordi internazionali per cercare paesi economicamente forte che ci sosterrebbero il periodo di trapasso (ad es. garantirebbero la solvibilità dei nostri bonds), si varerebbero una politica di taglio della spesa pubblica per far capire a tutti i soggetti internazionali che il ritorno alla lira non vuol dire un ritorno alla spesa pubblica, portando a livelli insopportabili nostro debito ecc.

     2) Il passaggio vero e proprio alla moneta nazionale ad una determinata data (tenendo per un periodo di due anni la doppia circolazione). Si parte con una svalutazione intorno al 16% e poi si ancora la propria moneta all’euro, però nel frattempo si approfitterebbe di qualsiasi rivalutazione dell’euro sul dollaro per fare degli aggiustamenti successivi del 2%. In questo modo si darebbe tempo all’economia di ripartire, ma nello stesso tempo si alleggerirebbe di tanto in tanto le pressioni del mercato su cambio fisso. L’intenzione è quella di svalutare dolcemente fino ad arrivare ad un cambio molto vicino a quello reale. Nel giro di tre anni, infatti, bisogna passare al cambio flessibile altrimenti sarà stata un’operazione fatta male.

     Stampare moneta. È stato calcolato che si potrebbero stampare quasi 10 miliardi all’anno di banconote senza produrre inflazione. Chiaramente bisogna fare la cosa in modo segreto, ad esempio dichiarando che se non sono stampati su cinque, e adottando opportuni provvedimenti economici. Altre sette 8 miliardi si potrebbero recuperare legalizzando la prostituzione e il gioco d’azzardo, attività che attualmente godono di esenzione totale (e spingono molti italiani ad andare all’estero). Altre 15 miliardi si potrebbero recuperare diminuendo i contributi che ogni anno l’Italia da all’unione europea. Altri miliardi si potrebbero recuperare facendo pagare dei dazi sull’importazione di prodotti cinesi e dei paesi del terzo mondo che praticano la concorrenza sleale. Non andiamo oltre, ma un ministro dell’economia veramente capace potrebbe recuperare circa 100 miliardi all’anno (tagliando anche su ambasciate e consolati all’estero, sprechi e enti inutili), il che permetterebbe di diminuire le tasse e di dare € 100 di aumento a tutti i dipendenti pensionati, il che farebbe ripartire i consumi e quindi l’economia.

    Il debito pubblico? Chiaramente preparare il trapasso in modo che i nostri buoni poliennali del Tesoro trovino acquirenti fa parte di quelle cose che bisogna preparare prima della data di introduzione della nuova moneta. Bisogna evitare assolutamente di lasciare i bond in moneta pregiata perché ogni eventuale svalutazione farebbe lievitare di pari passo il debito pubblico. Per questo motivo è meglio pagare dei tassi d’interessi leggermente più alti piuttosto che lasciare i bond in euro. Per la svalutazione iniziale del 16% bisognerebbe prevedere una cedola da restituire nel giro di 3 – 5 anni per risarcire risparmiatori del danno che hanno avuto con il passaggio alla lira.

     In effetti anche se all’inizio avremo un forte incremento dell’indebitamento pubblico ciò non si dovrebbe spingere al default perché gli investitori internazionali sarebbero coscienti che la svalutazione della moneta e di altre misure per aumentare la produttività dovrebbero produrre un aumento del Pil di almeno del 4% all’anno. In effetti la fiducia dei risparmiatori verso il nostro paese aumenterebbe di molto, invece di crollare. Ne è testimonianza l’esperienza dell’Argentina, che dopo il crac e la forte svalutazione della propria moneta trovò moltissime banche estere disponibili a concederle di nuovo credito. Per gli investitori un’economia che cresce è la migliore garanzia che si sarà in grado di restituire i debiti contratti.

     Il prezzo dei carburanti arriverà alle stelle? Nessuno lo nega, sicuramente ci sarà un aumento, ma questo si può mantenere nei limiti sopportabili diminuendo l’enorme pressione fiscale che esiste sulla benzina e sul gasolio e avviando progetti per produrre energia elettrica con il fotovoltaico, con l’eolico ecc.. Per i carburanti si potrebbero mettere a cultura moltissimi campi oggi incolti e produrre diesel biologico, che diventerebbe competitivo come prezzo e ci farebbe dipendere molto meno dall’estero per i rifornimenti energetici.

     D’altronde prima dell’introduzione dell’euro abbiamo comprato i carburanti all’estero per quasi sessant’anni con la lira e nessuno si è lamentato mai di niente. Anzi il prezzo della benzina non era così alto come è oggi che abbiamo l’euro (per via anche delle ritenute fiscali che sono aumentate molto).

            In conclusione saranno 2 – 3 anni di sacrifici, ma appena l’economia sarà ripartita, si potranno rivalutare stipendi e salari, rifinanziare gli enti locali, avviare nuovi lavori pubblici ecc. ecc., cioè sarà il ritorno alla normalità com’era prima dell’anno 2.000. Non ci sarà nessuno, neanche la BCE che ogni 6 mesi ci dirà di varare una manovra per portare in pareggio il bilancio dello Stato e nessuno che ci imporrà una politica di rigore e austerità. Avremo recuperato la nostra sovranità nazionale, per stimolare l’economia potrebbe bastare una riduzione del tasso di sconto ufficiale o agire sulla leva del cambio. Due strumenti che abbiamo perso con l’entrata nell’euro.

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