Forma di Governo di una Giovane Promessa

...Forma di Governo di una Giovane Promessa

Testo di gianluca@presidenzialismo.org

La forma che ho pensato è quella neoparlamentare con alcune correzioni. Questa formula, applicata per le regioni e i comuni in Italia e solo in Israele per le elezioni politiche, prevede come scritto in un articolo: ”un caso particolare di scioglimento del Parlamento è quello previsto nelle costituzioni che hanno adottato l’elezione popolare diretta del primo ministro, secondo quella variante della forma di governo definita neoparlamentare. In questo caso il voto di sfiducia del Parlamento nei confronti del governo, se determina le dimissioni di quest’ultimo, determina anche l’automatico scioglimento dello stesso Parlamento; d’altra parte la simultanea elezione del primo ministro e del Parlamento dovrebbe assicurare un certo allineamento politico tra i due organi e prevenire crisi di governo.”
La forma che ho pensato punta quindi, da un lato a cercare di garantire il più possibile il mantenimento della democrazia e di evitare quindi tendenze autoritarie da parte di coloro che detengono il potere, e dall’altro lato a garantire stabilità, ovviamente non eccessiva, ai Governi. Preciso subito che la seguente forma non è assolutamente perfetta ma è comunque intelligente e, a suo modo, innovativa.
I tre poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario, devono essere ovviamente il più possibile separati. Per questo non si possono ricoprire contemporaneamente incarichi che riguardano più poteri. Ad esempio non si può essere ministro se si è parlamentare. Oltre a questi tre poteri ne ho individuato un quarto, che esiste già ma non viene considerato come un vero e proprio potere al pari degli altri tre, il controllo costituzionale.

LEGISLATIVO
Il potere legislativo è detenuto da una Camera, che da sola compone il Parlamento, eletta a suffragio universale ogni quattro anni se la legge elettorale è proporzionale, altrimenti ogni tre anni. Nel caso in cui un partito ottenga più del 50% dei voti effettivi al primo turno, anche se ci fosse una legge maggioritaria, la legislatura durerebbe quattro anni. La Camera ha anche il compito di controllare l’esecutivo: revocando la fiducia, approvando o respingendo i decreti legge e le proposte di leggi del Governo, votando la legge di bilancio e approvando eventuali mozioni di sfiducia nei confronti di singoli ministri che devono essere approvate dai 3/5 dei parlamentari. La Camera è composta da 310 deputati, di cui 300 deputati eletti da cittadini residenti, e da 10 deputati eletti dai cittadini residenti all’estero. Inoltre i senatori quando terminano il mandato diventano parlamentari per 5 anni, salvo rinuncia. La Camera elegge tra i propri componenti il Presidente e i suoi quattro vice. Tra questi cinque almeno tre devono appartenere ai partiti dell’opposizione (per cercare di evitare ancor di più tendenze autoritarie). La decisione di abolire il Senato, così com’è oggi, deriva sia da una mera considerazione economica di risparmio, sia dal desiderio di rendere più veloce l’iter per creare leggi. È evidente che avere solo una Camera rende più importanti rispetto a prima i deputati, i quali sono gli unici detentori del potere legislativo. Il Senato esiste ancora ma ha un ruolo diverso spiegato più avanti.

ESECUTIVO
Il potere dell’esecutivo è nelle mani del Consiglio dei Ministri (Governo), e in particolar modo del Presidente del Consiglio (PDC, premier, primo ministro). Il PDC e il Vice sono eletti a suffragio universale. Le elezioni del PDC e del Vice avvengono contemporaneamente a quelle del Parlamento. Il PDC decide i ministri, i quali sono poi formalmente nominati dal Presidente della Repubblica, ma non può cacciarli. Può solo proporre ai parlamentari del proprio partito di votare una mozione di sfiducia del ministro, la quale deve ottenere l’appoggio di deputati dell’opposizione, visto che sono richiesti i 3/5 dei voti.
In caso di dimissioni, di malattia o di morte il PDC viene sostituito dal Vice. Nel caso in cui questo si dimettesse o per malattia o morte non sia in grado di ricoprire questo incarico si procederà a nuove elezioni della Camera e del PDC. Se il Vice si dimette quando il PDC è ancora in carica, il suo posto rimane vacante. Non può cioè essere sostituito dal PDC. Questo per evitare che poi l’incarico del PDC sia assunto da una persona non eletta dal Popolo.
Ho quindi cercato di evitare che ci sia un PDC non eletto dal Popolo, situazione che spesso accade in Italia. È vero che il nostro Paese è una repubblica parlamentare e quindi non è il popolo a votare il PDC ma è anche vero che il primo ministro è meglio se è espressione del partito vincente alle elezioni. Ad esempio il PDC Letta pur facendo parte del Partito Democratico non era colui che era stato indicato dal Popolo, in quanto capo del partito vincente (e cioè Bersani). Il ruolo di PDC può essere assunto da una persona non eletta solo nel caso improbabile in cui il PDC, o il Vice che ne sta ricoprendo il ruolo, subisca una condanna non definitiva in primo o in secondo grado. Il PDC verrà assunto dal Vice, e in mancanza di questo da una persona scelta a maggioranza dai ministri. Questa decisione l’ho presa per cautelare l’esecutivo in caso di un attacco politico, molto improbabile, della magistratura avversa al partito al Governo.
Il PDC non può essere sfiduciato dal parlamento nel primo anno dopo le elezioni. Questo per evitare, soprattutto in casi di legge proporzionale, il perdurare di situazioni di instabilità e incertezza politica che, tengo a ricordare, negli anni 30 nella Repubblica tedesca di Weimar hanno contribuito alla crescita di Hitler.
Il Governo dispone in parte del potere legislativo. Può infatti presentare disegni di legge al Parlamento, approvare decreti legge, che perdono efficacia dopo 60 giorni se non approvati dai deputati, scrivere e approvare leggi delega/decreti legislativi. Le leggi delega sono delle leggi che sono scritte dal Governo su ordine del Parlamento che ne stabilisce i criteri, la materia e i paletti da rispettare per redigere quella determinata legge. Le leggi delega riguardano solitamente materie tecniche sulle quali i ministeri sono più esperti dei singoli deputati. Questi decreti legislativi devono essere approvati dal Governo entro un determinato periodo oltre il quale perdono efficacia. I decreti legge devono essere approvati dal Parlamento entro 60 giorni altrimenti perdono efficacia. Sia i decreti legislativi sia i decreti legge non possono regolare materie di natura costituzionale, di bilancio, elettorale, di amnistia e indulto e autorizzare la ratifica di trattati internazionali.
Il premier dispone anche della possibilità di veto, cioè ha la facoltà di sospendere la promulgazione di una legge approvata dalla Camera. Se il Parlamento approva nuovamente la legge il primo ministro è obbligato a promulgarla, tranne nella circostanza in cui ritiene incostituzionale quella norma che verrà quindi sottoposta al giudizio della Corte Costituzionale. La possibilità di veto del PDC l’ho decisa per poter sottoporre il Parlamento a un controllo esterno e per favorire l’attività politica del premier, il quale può infatti opporsi, anche se solo una volta, ad una norma contraria alla propria ideologia e contraria al proprio programma elettorale.
Le decisioni del Governo, il quale deve anche nominare i più alti funzionari pubblici, vengono votate dallo stesso Consiglio dei Ministri e approvate o respinte a maggioranza. Questa decisione l’ho presa per evitare che il PDC potesse prendere decisioni in completa autonomia evitando derive autoritarie. Inoltre il Vice non può votare nelle sedute del Consiglio tranne in caso di pareggio. Questo per evitare che il PDC disponga di un forte alleato nelle votazioni. Ogni proposta di legge presentata da un ministro, così come un decreto legislativo o decreto legge o la nomina di funzionari, devono essere approvati dal premier, il quale li sottoporrà poi al voto dell’intero consiglio.
Questa pratica rende più importante il PDC nei confronti dei ministri, i quali dovranno lavorare tenendo in forte considerazione l’opinione del primo ministro per poter approvare le proprie leggi/decreti… . Questa decisione l’ho presa per evitare che il CdM possa approvare atti osteggiati dal PDC, atti che potrebbero essere contro le promesse elettorali del PDC e contro la sua ideologia. Per riassumere in questa forma da me ideata, il PDC assume un ruolo più importante, rispetto a quello che oggi ha, in virtù del fatto che è espressione del voto del Popolo. Per evitare che il PDC possa però diventare una figura despotica ogni suo atto dovrà essere approvato dai ministri che non possono essere cacciati da lui stesso. Il PDC non può neanche indurre, tramite il voto dei parlamentari del proprio partito, a cacciare un ministro a lui “antipatico” in quanto sarebbe necessario il voto di 3/5 dei parlamentari, quindi anche di deputati dell’opposizione. L’idea di poter cacciare i ministri deriva da diverse considerazioni. In primis nel caso di un ministro che si sospetta essere disonesto ed in combutta con il PDC, spetta ad un organo terzo, che è in questo caso il Parlamento, controllare e cacciare il ministro o in casi più gravi far cadere il Governo. Nella seconda ipotesi, in caso di tendenze autoritarie del PDC, questo non può mandare via un ministro solo perché si è opposto più volte alla sua politica o addirittura ha denunciato pubblicamente il PDC di atti disonesti. È necessario il voto dei 3/5 dei parlamentari, e non della semplice maggioranza, per evitare che il partito del premier lo appoggi in questa decisione di licenziamento del ministro. Dato che, come scritto in basso, nessun partito/coalizione può avere più del 58% dei seggi, spetta al giudizio dell’opposizione decidere come comportarsi, e quindi decidere se aiutare il disonesto PDC o no. Infine ho previsto la possibilità di licenziare i ministri per altri due motivi: in caso di manifesta disonestà o incapacità del ministro esiste giustamente la possibilità di mandarlo a casa; nel caso in cui il ministro stia attuando una politica differente da quella del PDC e del partito, esiste la possibilità di cacciarlo anche se, bisogna dire, i parlamentari dell’opposizione potrebbero fare ostruzionismo (è impossibile, però, che abbiano pagato il ministro per ostacolare il PDC in quanto molti atti, ma non tutti, di un ministro vanno approvati dal PDC e poi dall’intero consiglio). Tornando al discorso precedente a quello dei ministri, il premier è inoltre sottoposto anche al controllo del Parlamento (come spiegato prima nella parte del Parlamento) e al controllo del Senato come spiegherò più avanti. Il PDC, dimettendosi, ha inoltre l’importante potere di poter sciogliere da solo sia la camera sia il governo. Un potere questo che può anche essere visto come un sorta di ricatto nei confronti del Parlamento. È anche vero, però, che in caso di dimissioni del primo ministro il suo ruolo viene assunto dal Vice. Infine il PDC non può dichiarare da solo guerra ad un altro paese (come spiegato sotto).
GUERRE: Per dichiarare guerra è necessario il voto sia del Parlamento sia del PDC, e la proposta di dichiarare guerra può essere avanzata sia dal premier sia dai deputati. Ho pensato di regolare questo procedimento in maniera più complicata, come ad esempio per le leggi di revisione costituzionale, ma poi ho desistito perché in caso ad esempio di invasione sui propri confini è necessario intraprendere decisioni rapidamente. L’Italia comunque ripudia la guerra come strumento di offesa e la ammette solo per difendere il proprio territorio e per missioni di pace (che è comunque difficile stabilire se lo siano veramente).

LEGGE ELETTORALE
I partiti si possono presentare alle elezioni da sole o in coalizione con altri partiti. Ogni singola coalizione e ogni singolo schieramento presenta solo un candidato PDC e un solo candidato Vice. Gli elettori votano su due schede diverse. Una per la Camera e una per l’esecutivo. La legge elettorale del PDC, scritta in Costituzione, è del tipo maggioritario alternativo. Il maggioritario alternativo (ranked choice voting) prevede che ciascun votante ordini almeno quattro candidati in una classifica, anziché scegliere semplicemente quello che preferisce. Inizialmente, a ciascun candidato si attribuiscono tanti voti quante sono le prime preferenze che ha ricevuto. Se un candidato ottiene più della metà dei voti, vince. Altrimenti, il candidato che ha ottenuto il minor numero di voti è eliminato e i suoi voti sono assegnati a uno dei candidati rimanenti in base alla seconda preferenza di ogni scheda elettorale.
Se continua a non esserci nessun candidato che abbia ottenuto la maggioranza assoluta dei voti, il processo di eliminazione del meno votato e di riassegnazione dei voti da esso ottenuti in base alle successive preferenze espresse viene ripetuto finché un candidato non ottenga più della metà dei voti. Nel caso, molto improbabile, che non si riesca ad arrivare ad una maggioranza si procede a un secondo turno con i due schieramenti che hanno ottenuto più voti (considerando anche le seconde e successive preferenze). Rispetto ad altri sistemi elettorali, il sistema di voto alternativo evita che i voti ai candidati minori siano ininfluenti ai fini del risultato e riduce la tendenza degli elettori a inibire la vittoria di candidati a loro sgraditi esprimendo una preferenza non per il candidato che gode della loro massima preferenza, ma per quello che, pur non essendo la loro prima scelta, ha una significativa probabilità di vittoria. La legge elettorale della Camera viene decisa dalla stessa Camera, seguendo però le disposizioni della Costituzione. Può essere solo proporzionale, maggioritaria con due turni, un misto o maggioritaria alternativa. In caso di maggioritario la Camera e il Governo restano in carica solo tre anni. La legge elettorale prevede anche una soglia di sbarramento fissata tra il 3% e il 5%, istituita con il fine di limitare l’eccessiva frammentazione politica che caratterizza il nostro Paese. Non ottengono seggi quei partiti che, pur facendo parte di una coalizione che ha superato lo sbarramento, hanno ricevuto meno voti della soglia. Sono previste delle deroghe per le tre regioni a statuto speciale (Sardegna e Sicilia non lo sono più). I partiti/coalizioni locali, che ottengono più del 19% dei voti della propria regione, hanno diritto ad avere due deputati i quali vengono tolti proporzionalmente ai seggi spettanti ai partiti dell’opposizione (es: se l’opposizione nazionale aveva diritto a 140 seggi gliene vengono tolti 2 o 4 o 6). Ognuna di queste tre regioni ha solo due deputati a testa anche nel caso in cui più di due partiti/coalizioni locali superino il 20%. I 10 deputati esteri sono eletti con legge proporzionale. Hanno diritto a ricevere seggi solo i partiti/coalizioni che hanno superato il 9% dei voti (questo perché, essendo 10 i deputati, rende più facile l’assegnazione dei seggi). Per evitare una larga e potente maggioranza nessun partito/coalizione può ottenere un premio di maggioranza superiore al 55% dei seggi. Nessun partito/coalizione può avere più del 58% dei seggi anche se abbia ottenuto al primo più del 58% delle preferenze. Può capitare, ma è altamente improbabile, che gli elettori votino in modo differente (hanno a disposizione due schede diverse) per il premier e per i parlamentari creando così una situazione instabile e incerta politicamente.

RAPPORTO TRA LEGISLATIVO ED ESECUTIVO
I primi due poteri, come in qualsiasi democrazia, sono strettamente connessi tra loro. In questo caso però sono ancora più strettamente connessi perché nel caso di caduta di uno cade anche l’altro. Questa situazione è positiva per creare più stabilità politica, ma allo stesso tempo unisce ancor di più due poteri già legati da rapporti importanti. Per questo ho pensato a diversi contrappesi che sono comunque inutili in caso di forte cooperazione tra esecutivo e Parlamento, situazione molto probabile in caso di legge maggioritaria. I due organi sono controllati dalla magistratura, la quale indipendentemente può sottoporli a giudizio, dal Popolo che deciderà se rivotare i partiti di maggioranza e dall’attività del Senato e della Corte Costituzionale (l’ho scritto più avanti). Riguardo alla cooperazione Governo-Camera sono diversi gli scenari. In caso di legge proporzionale e forte frammentazione politica i partiti sconfitti, pur essendo in maggioranza in Parlamento, saranno costretti a sopportare almeno per un anno il PDC. Il PDC dovrà cercare compromessi soprattutto a partire dal secondo anno di legislatura per evitare di far cadere il proprio Governo. Il ruolo del PDC sarà quindi fortemente ridimensionato e l’attività politica sarà molto più lenta, instabile e confusa, ma è anche vero che in questo modo il legislativo e soprattutto l’esecutivo ne escono ridimensionati, evitando lo spauracchio di tendenze autoritarie. Nel secondo con legge maggioritaria al Parlamento e vittoria di una coalizione il PDC non disporrà di un’ampia autonomia, ma anzi dovrà sempre cercare di ottenere l’appoggio degli altri partiti della sua coalizione. Il premier e il suo partito dovranno quindi concordare tutte le decisioni con i propri alleati per evitare la caduta del Governo. Come nel primo caso il ruolo del primo ministro ne esce indebolito a favore del Parlamento che invece assume più importanza. L’attività politica sarà lenta e instabile ma non a livelli del primo caso. Nei primi due casi si nota come il processo politico sia più democratico ma allo stesso tempo risulta più difficile per il PDC eletto rispettare le promesse elettorali, specie se si tratta di riforme strutturali. Sotto questo ultimo punto di vista appare migliore il terzo caso in cui, sempre con legge maggioritaria, vince un unico partito (senza coalizione quindi). Questo ultimo caso si suddivide a sua volta in due scenari. Nel primo, più improbabile, se il PDC è osteggiato da una parte del partito (ad esempio i casi di Renzi o Trump) dovrà continuamente cercare compromessi e accordi con deputati del proprio partito. Il rapporto tra legislativo ed esecutivo sarà come una specie di accordo/ricatto che vale per entrambe le parti: se cado io cadi anche te. Bisogna sottolineare che in questo rapporto il ruolo più forte è sempre quello del premier in quanto gode del fatto che è stato votato dal Popolo, e quindi il partito di maggioranza non può opporsi più di tanto alla volontà popolare. Nel secondo scenario il PDC è il capo del partito vincente e all’interno non c’è opposizione o è minima. Il primo ministro riuscirà a dare vita al proprio programma ma avrà un ruolo di capo indiscusso e potentissimo sul Parlamento e Governo. Per questo ho pensato alla figura dei senatori. Bisogna considerare che in caso di “cattivo presidente” il Parlamento ha una carta particolare: in caso di sfiducia al Governo l’incarico verrebbe assunto dal Vice eletto (ma in caso di sfiducia anche di quest’ultimo il Parlamento si scioglie).
Gli esponenti di questi due poteri se condannati non definitivamente vengono sospesi e sostituiti fino alla sentenza definitiva, che se è di assoluzione permette a queste persone di ritornare a ricoprire i loro incarichi ove possibile o di ottenere un risarcimento.
Per evitare che il potere venga mantenuto dalle stesse persone per troppo tempo, non si possono ricoprire incarichi per più di due mandati, o per tre mandati nel caso in cui i primi due mandati siano durati meno di 6 anni e 2 mesi.
Al fine di separare i poteri, non si possono ricoprire contemporaneamente incarichi che riguardino diversi poteri (ad esempio non si può essere ministro se si è parlamentare).

VINCOLO DI MANDATO
Il vincolo di mandato è un argomento piuttosto ostico da affrontare. Da un lato è sbagliato moralmente che i parlamentari vengano corrotti per cambiare “casacca” o semplicemente decidano di cambiare gruppo perché irrispettosi delle promesse agli elettori. Dall’altro lato però introdurre un vincolo di mandato porterebbe all’instaurazione di un Parlamento dittatoriale comandato in realtà dai pochi capi di partito, i quali potrebbero essere i primi a non rispettare le promesse fatte. Per questo ho introdotto un vincolo di mandato “soft”: un parlamentare se cambia gruppo parlamentare o viene espulso non potrà più essere rieletto nella prossima legislatura, a meno che questa situazione sia capitata ad almeno il 10% dei deputati di quel gruppo nel corso di questa legislatura. In questo caso si può parlare di “scissione”.

POTERE GIUDIZIARIO
La magistratura deve ovviamente essere un’entità indipendente. Per magistratura intendo comunque non solo i giudici che emettono le sentenze, ma anche i PM e in generale coloro che rappresentano l’accusa e coloro che conducono le indagini (che spesso sono la stessa persona). La magistratura, secondo me, dev’essere per principio un organo orizzontale cioè sottoposto il minimo possibile al volere di un organo superiore. Pertanto andrebbero modificate le leggi riguardanti le gerarchie dei PM e delle forze di polizia. Ad esempio un politico non potrà più corrompere un generale per poter evitare indagini sui propri affari in quanto il generale non può più impedire ad un sottoposto di effettuare determinate indagini. Il ruolo di capo della Polizia, così come per i capi degli altri corpi militari, ne esce fortemente ridimensionato. Chiunque all’interno della magistratura deve poter indagare liberamente sull’attività di esponenti dei primi due poteri, legislativo ed esecutivo, e anche sugli esponenti del potere del controllo costituzionale. Per questo motivo nessuna immunità può essere concessa.
Una scala gerarchica deve ovviamente esistere ma essere ridotta al minimo. Il CSM (Consiglio Superiore della Magistratura) è l’organo di autogoverno della magistratura che però ho in parte svuotato dei suoi poteri. Il CSM ha come compiti: assunzione (sempre tramite concorso pubblico); promozione; trasferimento; attribuzione di sussidi ai magistrati e alle loro famiglie; assegnazione ad un incarico, trasferimento e procedimento disciplinare con limiti (da definire) rispetto ad ora; nomina dei magistrati di Cassazione; nomina e revoca dei magistrati onorari. Contro le decisioni del CSM è possibile, così come oggi, fare ricorso al TAR e poi al Consiglio di stato che è il secondo grado e ultimo della giustizia amministrativa.
Un altro organo della magistratura è la Corte dei conti, la quale per garantirne l’imparzialità e indipendenza, è composta solo da giudici assunti tramite concorso pubblico.
La magistratura dev’essere indipendente ma è anche vero che i giudici potrebbe ordire complotti con il fine di destabilizzare il sistema democratico e sfavorire partiti a loro “antipatici”. È un caso improbabile ma di cui bisogna tener conto. Per questo i processi che riguardano parlamentari in carica e membri del Governo in carica sono sottoposti al giudizio di terzo grado non della Cassazione ma della Corte Costituzionale (non vale lo stesso discorso per gli eletti nei Comuni e nelle Regioni). Inoltre i componenti del CSM sono nominati per 1/3 dal Parlamento che così controlla, anche se debolmente, l’operato della magistratura.

CONTROLLO COSTITUZIONALE
Questo potere, che consiste nel controllare che la Costituzione venga rispettata dagli stessi organi dello Stato, è affidato al Senato e alla Corte Costituzionale.
Il Senato, che è un organo che sostituisce la figura del Presidente della Repubblica come la conosciamo oggi, è composto da tre persone. Queste persone, note come senatori della Repubblica, hanno il compito di promulgare tutte le leggi del Parlamento e tutti gli atti aventi forza di legge (decreti legge, decreti legislativi, regolamenti governativi, trattati internazionali). Come il PDC, anche i senatori dispongono del potere di veto che possono esercitare in caso di decisione di almeno due senatori su tre. Qualora la Camera o il Governo approvassero lo stesso testo, i senatori saranno obbligati a promulgare l’atto avente forza di legge, a meno che, come fa il primo ministro, ritengano incostituzionale quella particolare norma. In quest’ultima circostanza sarà la Corte Costituzionale ad esprimersi. I senatori devono decidere entro un mese dall’approvazione dell’atto altrimenti questo viene automaticamente promulgato. Oltre a questo delicato compito possono inviare messaggi alla Camera, nominano alcuni funzionari di alto grado, accreditano e ricevono i diplomatici stranieri, indicono la data delle elezioni e dei referendum. Le decisioni del Senato devono essere prese a maggioranza, cioè è necessario il voto di almeno due senatori su tre. I senatori vengono eletti dalla Magistratura. Precisamente uno viene nominato dalla Corte dei Conti, uno dal Consiglio di Stato e uno dal CSM. La decisione di non far più eleggere i senatori (cioè l’ex Presidente della repubblica) dal Parlamento è frutto della considerazione che l’attività di quest’organo è un’attività di controllo dell’esecutivo e del legislativo. Pertanto questo incarico non può essere assunto da persone scelte da coloro che devono essere controllati. La nomina dei senatori, che restano in carica per 7 anni e non sono rieleggibili, non avviene nello stesso anno ma a distanza di tre anni tra la nomina del primo e la nomina del secondo, di 2 anni tra il secondo e il terzo, e di 3 anni tra il terzo e il primo. In caso di morte, impedimento, dimissioni o condanna, il posto vacante viene sostituito da un nuovo senatore, che non è rieleggibile, che rimane in carica fino al termine del mandato del senatore precedente (questo per favorire il continuo cambiamento dei membri del Senato). Ho deciso di avere tre senatori e non uno in primis perché un’attività del genere sarebbe difficilmente svolta da una singola persona e, inoltre, un organo collegiale, democraticamente parlando, è sempre meglio di un organo composto da una sola persona (c’è sempre il rischio che una persona, che abbia raggiunto incarichi altolocati, agisca nel proprio interesse e non in quello della Nazione).
Infine c’è la Corte Costituzionale, che è l’organo che, dal mio punto di vista, riveste il ruolo maggiore. La Corte, nota anche come Consulta, è composta da 25 giudici e non più da 15. La Consulta si trova infatti ad avere una mole di lavoro maggiore perché deve decidere sulle leggi dichiarate incostituzionali dal PDC o dai senatori. Con la Costituzione vigente oggi la corte è eletta per 1/3 dal Parlamento, per 1/3 dal Presidente della Repubblica e per 1/3 dalla magistratura. La corte ha quindi una componente politica, vicina cioè ai politici, predominante pari ai 2/3. Io riconosco la figura del Presidente della Repubblica come figura politica essendo stata eletta da parlamentari, ed avendo spesso ricoperto incarichi in partiti. La Corte però, vista la funzione delicatissima che ricopre, dev’essere composta da metà persone espressione della politica e da metà espressione della magistratura, per far sì che i membri dell’una vigilino sugli altri e viceversa. 12 giudici sono nominati dal Parlamento e 13 dalla magistratura (il numero dei giudici è dispari e io ho preferito dare un membro in più alla magistratura di cui mi fido di più). La Corte giudica anche sui conflitti d’attribuzione degli organi dello stato e sull’ammissibilità dei referendum conformemente a quanto scritto in costituzione, non come adesso che giudica inammissibili referendum che in realtà non riguardano le materie espressamente citate dall’art. 75 della Costituzione. La Corte funge anche da terzo grado nei processi che riguardano parlamentari, membri del Governo e membri della stessa Corte Costituzionale (questo per evitare che nell’ipotesi, improbabile, che la magistratura cerchi di assumere più potere e i magistrati possano perseguitare e condannare ingiustamente i giudici della Consulta eletti dal Parlamento). Ho deciso di non affidare la nomina di giudici della Corte ai senatori per evitare che questi possano influenzare le decisioni della consulta, tramite i propri nominati. I giudici della Corte restano in carica per 9 anni e non sono rieleggibili. Come per i senatori tra la nomina di un giudice e quella di un altro deve passare un certo periodo di tempo. In caso di morte, impedimento, dimissioni o condanna, il posto vacante viene sostituito da un nuovo giudice che rimane in carica fino al termine del mandato del senatore precedente ed non è rieleggibile.
La Costituzione può essere modificata dalle Camere con un procedimento più complesso di quello odierno, per rendere più difficile eventuali cambiamenti della nostra legge fondamentale. Una legge costituzionale va approvata dai 2/3 dei deputati e dal primo ministro, e sottoposta a due votazioni a distanza di tre mesi. La legge viene sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale che la può bocciare se non rispetta i limiti previsti dalla stessa costituzione (ad esempio un articolo che inneggia al razzismo non può essere emanato). La legge non viene promulgata se si oppongono più di 1/4 dei parlamentari o se entro tre mesi dalla seconda votazione si oppongono almeno 2 milioni di cittadini (tramite raccolta firme). In questi casi la legge costituzionale viene sottoposta a referendum e, per diventare realtà, deve ottenere il voto di almeno il 55% delle persone che si sono recate al voto (non il 50+1 per evitare che una semplice maggioranza possa prendere una decisione così importante per tutta la Nazione).

CONCLUSIONE
Con questa forma ho cercato di separare il più possibile i poteri tra loro per evitare eventuali tendenze autoritarie, ma ho anche cercato di rendere più facile l’attuazione di un programma politico promesso in campagna elettorale, e favorire situazioni di stabilità politica. L’unica situazione che non sono riuscito a sistemare, ma d’altronde è impossibile prevenire, è l’eventuale collaborazione di esponenti dei tre/quattro poteri per instaurare un nuovo ordine (tipo il caso P2 e la massoneria che ha infiltrati in tutte le istituzioni).

Testo di gianluca@presidenzialismo.org

La Costituzione
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