Tratto dalla SBG

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I vantaggi dei sistemi presidenziali. Il più importante dei pregi di questo sistema, primo, è maggiore stabilità, una guida forte e unitaria; cioè al di là delle discussioni e dei dibattiti che possano esserci in Parlamento, c’è qualcuno che in ultima analisi decide e ne è responsabile.
Negli Stati Uniti, se le cose non funzionano, il cittadino sa a chi dare la colpa.
Al contrario nei sistemi parlamentari spesso non è facile attribuire le responsabilità. In caso di fallimento si assiste al classico scaricabarile. La democrazia non significa, come abbiamo detto, governo di tutti o condivisione del potere, ma che chi ha vinto le elezioni ha il diritto di governare il paese. Con il sistema presidenziale si dà carta bianca al presidente, che dovrà risponderne all’elettorato dopo 4 o 5 anni.
Il secondo merito è che si dà più spazio ai leader, limitando l’influenza dei partiti. In effetti, con il presidenzialismo c’è meno partitocrazia e più rinnovamento, in quanto sono i personaggi politici, che emergono volta per volta, a condizionare le linee politiche e non gli apparati di partito, come purtroppo succede in paesi come l’Italia. Nei regimi presidenziali, infatti, è l’uomo, il leader, a predominare sul partito. Il risultato è che ogni 2 o 3 turni elettorali si hanno volti nuovi (vedi USA), in quanto ogni partito va alla ricerca dei candidati “giusti” per battere gli avversari.
Nelle democrazie clientelari, invece, al potere ci vanno i “più anziani” perché hanno avuto più anni per tessere le loro “reti clientelari”.
Non è un caso che in Italia l’età media dei parlamentari è tra le più alte di Europa e che non di rado troviamo nelle cariche più alte, come la Presidenza della Repubblica, persone con più di 80 anni.
I difetti. Sono in molti i politologi, a partire da Giovanni Sartori, a giudicare negativamente i sistemi presidenzialisti. In Europa li vediamo in modo positivo, romantico, perché non abbiamo mai sperimentato a nostre spese i difetti di questi regimi; li consideriamo, infatti, un’alternativa ai governi deboli, un rimedio contro l’instabilità politica, il trasformismo ecc..” Il presidenzialismo, in larga misura, ha funzionato male, con la sola eccezione degli Stati Uniti. Tutti gli altri sistemi presidenziali sono stati fragili, soccombendo regolarmente a colpi di stato o a rivoluzioni.” G.Sartori, 2004.
Secondo lo stesso autore anche il modello americano non è che funzioni molto bene, il potere esecutivo esiste separatamente dal parlamento, come un corpo autonomo. E dato che ci sono le elezioni di medio termine ed ecco che di frequente ci si trova davanti al problema del “governo diviso”. Eisenhower fu il primo a imbattersi in un congresso controllato dal partito di opposizione, ma dal 1955 al 1992 il governo è stato diviso per 20 su 24 anni. E se la presidenza Clinton ha ristabilito nel 1993 una maggioranza indivisa, le cose sono andate bene solo per 2 anni, poi si è ritrovato in minoranza in tutte e due le camere. Il problema si è riproposto con Barack Obama.
Questo difetto, e qui la maggioranza dei politologi è d’accordo, espone il sistema americano al rischio di paralisi e rende il modello non esportabile. In paesi, infatti, dove esiste un maggiore radicalizzazione della lotta politica che negli Stati Uniti potrebbe portare il sistema in stallo o, addirittura, alla caduta della democrazia.
“La credenza che i sistemi presidenziali siano forti si fonda sul peggior assetto strutturale possibile, un potere diviso, indifeso contro il governo diviso, e non afferra che il sistema americano funziona “nonostante la sua costituzione. È ancora in grado operare in presenza di 3 fattori: assenza di principi, partiti deboli e indisciplinati e una politica di concessioni localistiche.
Grazie a questi fattori, un presidente può ottenere i voti che gli occorrono elargendo favori locali”, G. Sartori, 2004. Un sistema che costringe a metodi clientelari non può essere certamente preso a modello.
In effetti il presidenzialismo alla statunitense, secondo quest’ottica, può funzionare in un paese dove esistono solo due partiti, non molto lontani ideologicamente e dove non esistono forti contrasti e la lotta non ha forti colorazioni ideologiche. “È risaputo che i partiti americani più che partiti elettorali, forniscono “etichette” a due candidati che si combattono in collegi uninominali” G. Sartori, 2004. In effetti secondo Sartori “il sistema americano funziona perché gli americani sono determinati a farlo funzionare” e detto da una persona che ha insegnato a lungo nelle migliori università USA non è da prendere certamente alla leggera.

Prof. Gianni Gargione da LA SCIENZA DEL BUONGOVERNO – GOVERNMENT SCIENCE – SBG

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